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Discriminazione

Atti e forme di discriminazione

Le radici della discriminazione

La discriminazione inizia quando una persona comincia a credersi migliore di un'altra. Si parte con il distinguere tra me e l'altro, tra noi e loro. E a considerare l'altro e loro come persone non proprio simili a me, non alla stessa mia e nostra altezza, appunto diverse, per poi passare a considerarle differenti in senso negativo, perché peggiori di me e di noi.

Questo atteggiamento è prima di tutto un atteggiamento mentale che ha alla base un processo culturale o sociale legato al sentito dire, a ideologie, a considerazioni superficiali. Se per me sei diverso, diversi sono i tuoi diritti Pensare che l’altro sia diverso da me, in senso negativo, porta poi a considerarlo titolare di diritti diversi, meno riconoscibili e quindi meno tutelabili e/o da tutelare rispetto ai miei. Anzi, se riconoscessi all’altro gli stessi miei diritti, quelli da me e da noi ottenuti a fatica nel corso della storia, questi verrebbero ad indebolirsi, ad affievolirsi e correrei il rischio di perderli o non vederli più riconosciuti. Il ragionamento alla base è: solo io posso avere certi diritti perché mi ritengo migliore e perché se li estendo ad altri, rischio di perderli. In realtà ampliare la platea dei destinatari di un diritto lo rafforza e non lo indebolisce, perché saranno molti i soggetti interessati a controllare che nessuno lo metta in discussione o tenda a negarlo, proprio perché è un diritto di tutti e non di pochi. Infatti maggiore è il numero dei “controllori” maggiore sarà il rispetto di quel diritto sia da parte dei privati che dello Stato.

I Diritti Umani

È il caso dei diritti umani e dei diritti fondamentali della persona, sanciti nelle più importanti Convenzioni e Costituzioni democratiche come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU (1948) la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU, 1950), il Trattato di Lisbona (2009), la Costituzione italiana (1948).

I Diritti Umani sono i diritti inalienabili dell'uomo, ossia i diritti che devono essere riconosciuti ad ogni persona per il solo fatto di appartenere al genere umano, indipendentemente dalle origini, appartenenze o luoghi ove la persona stessa si trova. Se tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti (art 1 Dichiarazione ONU) ne consegue il principio generale che nessuna persona può essere ritenuta diversa e quindi privata di tali diritti. Perciò ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà fondamentali, come enunciate nelle principali convenzioni e dichiarazioni internazionali, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (art. 2 Convenzione ONU).

Quest’ultimo è il principio di non discriminazione.

La discriminazione oggi

Purtroppo la storia e la quotidianità ci dimostrano come quello della discriminazione - e della discriminazione razziale in particolare - è un aspetto ancora oggi attuale nel mondo in tutti i settori della vita quotidiana, ma anche in Europa ed Italia.

Spesso poi gli atti di discriminazione passano sotto silenzio o non sono percepiti come tali pur essendolo. Ciò avviene in particolare per chi ha origini etnico razziali diverse, per questioni di genere e di orientamento sessuale, per età e disabilità. La maggior parte delle discriminazioni etnico razziali avviene nei luoghi di lavoro e nell’accesso ai beni e ai servizi, anche offerti dalle Istituzioni e dagli Enti locali, seppure a volte inconsapevolmente. I livelli i più alti di  discriminazione sono basati sul colore della pelle, l’etnia (nord Africa, rom, cinese...) o sul background migratorio.

La Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale

Il 21 marzo di ogni anno ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. E’ stata scelta tale data perché il 21 marzo 1960 nella città di Sharpeville, in Sud Africa, la polizia aprì il fuoco e uccise 69 persone durante una manifestazione pacifica contro le leggi segregazioniste ed in particolare contro l’Urban Areas Act, una legge che obbligava i neri di più di 16 anni ad avere con sé un ‘lasciapassare’ che concedeva loro il diritto di entrare in certi quartieri ‘bianchi’ al di fuori dei loro orari di lavoro. Questo accadeva perché gli adulti neri erano considerati inferiori e quindi titolari di meno diritti degli adulti bianchi. I bianchi concedevano ai neri una limitata libertà di movimento extra lavoro se in possesso di un lascia passare deciso da una legge scritta solo dai “bianchi”.

Ma perché questo avviene ancora oggi?

Un grande giornalista e scrittore Ryszard Kapuściński, reporter di guerra e grande viaggiatore della seconda metà del ‘900, affermava che ad inquietarlo non erano i fronti e le frontiere, non erano le fatiche e i pericoli, bensì una costante insicurezza per le stesse domande: di che tipo sarà, come sarà e come si svolgerà l’incontro con l’Altro, con le altre persone che oggi capiterà d’incontrare lungo il cammino? Sapeva infatti che molto, se non tutto, dipendeva da questo. Ogni incontro era un punto di domanda: come si svolgerà? come procederà? come si concluderà? Tre per Kapuściński, fin dalla preistoria, sono i possibili atteggiamenti che una persona, un gruppo, un popolo può avere verso l’Altro. L’indifferenza, il combattersi o il relazionarsi, mettendosi in ascolto l’uno dell’altro.

In tempi di forti migrazioni tra il c.d. Sud verso il c.d. Nord del mondo, dove inevitabile è questo incontro, spetta a chi ha la governance dei Paesi destinatari di immigrazione decidere in quale direzione orientare le scelte politiche e culturali verso chi arriva. Quindi è anche e soprattutto dall’atteggiamento che assumiamo verso chi emigra che dipende o meno la capacità di creare nuove società coese o separate, dialoganti o piene di discriminazioni nell’una e nell’altra direzione. Per Tiziano Terzani, un altro scrittore e giornalista dell’ultimo ‘900, il vero problema è che “non diamo agli altri il tempo di raccontarci chi sono”. Ma il pregiudizio e la paura prevalgono sulla relazione e la disponibilità all’incontro.

Atti e forme di discriminazione

Nonostante tutti gli stati membri della UE abbiamo aderito ai principali trattati internazionali per combattere le discriminazioni e malgrado le numerose leggi nazionali ed europee a riguardo, la quotidianità delle minoranze etniche, dei migranti è colpita da pregiudizi. Esclusione e discriminazioni in vari ambiti.

Ambito lavorativo: annunci di lavoro discriminatori, richieste di requisiti linguistici sproporzionati e irragionevoli per accedere a posti di lavoro, difficoltà nel riconoscimento di qualifiche straniere, per arrivare a episodi di sfruttamento ed abusi sessuali e fisici.

Abitativo: gli immigrati in vari Paesi devono affrontare discriminazioni nell’accesso al mercato degli affitti e degli acquisti di immobili.

Discriminazione intersezionale

Quando si parla di persone migranti spesso ci si dimentica che la loro identità non è soltanto quella di migrante, bensì ciascun individuo ha una storia e altre caratteristiche individuali che talvolta determinano anche la migrazione. Alla fine degli anni ’70 del secolo scorso una giurista afroamericana, Kimberlé Crenshaw, ha coniato il termine intersezionale per rendere visibili alcune discriminazioni che altrimenti sarebbero state ignorate. Nello specifico Crenshaw ha seguito il caso di donne nere che non venivano assunte da aziende statunitensi, le quali di tutta risposta affermavano di non operare alcun tipo di discriminazione. Questo poiché nelle suddette aziende vi erano sia donne che persone nere. Da una più attenta osservazione, però, si evinceva che tutte le donne erano bianche e lavoravano a contatto con il pubblico, svolgendo mansioni di segreteria ed altri lavori di front office. Tutte le persone nere erano uomini e lavoravano nel carico e scarico merci e svolgevano altri lavori di back office generalmente preclusi al pubblico.

La parola discriminazione intersezionale, in questo caso, mostra la necessità di osservare contemporaneamente alle discriminazioni esperite dalle donne nere sia per il loro genere che per il colore della loro pelle, in quanto se si fosse osservato solo l’uno o l’altro la discriminazione sarebbe stata invisibile. Negli ultimi decenni, questo concetto giuridico è stato mutuato dalle scienze sociali e ci consente di affrontare il tema delle discriminazioni in maniera più completa. Infatti, molte persone migranti, oltre ad avere una diversa nazionalità, possono simultaneamente vivere discriminazioni per altri tratti della loro identità, come la religione, la classe, l’età, il genere, l’orientamento sessuale, la disabilità. Questo è da tenere in considerazione, poiché entrando in contatto con migranti richiedenti la protezione internazionale è necessario vedere le persone nella loro totalità, apprezzando la complessità e ricordando che queste possono vivere discriminazioni per il loro status di rifugiate e contestualmente per l’appartenenza ad altri gruppi sociali oppressi.

Il linguaggio di odio online

Con la diffusione dei social networks se da un alto l’informazione è diventata più ampia e diffusa, più rapida e accessibile, dall’altro gli stessi social sono diventati, inconsapevolmente o meno i mezzi privilegiati attraverso i quali si è diffuso l’odio online e quello che comunemente è chiamato linguaggio o discorso d’odio o hate speech.

La Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI) nel marzo 2016, ha definito il discorso d’odio come “l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi, quali la razza il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale”.

In Italia, sempre nel 2016 la Commissione parlamentare “Jo Cox” sui fenomeni d’odio, intolleranza, xenofobia e razzismo, ha cercato di inquadrare i discorsi d’odio all’interno di quella che è stata definita la “piramide dell’odio” .

La piramide è così strutturata:

  • stereotipi e pregiudizi (1° livello - base): credenze condivise in un certo ambiente e date per ovvie, rappresentazioni false, erronee e insidiose;
  • discriminazioni (2° livello): azioni e comportamenti escludenti o ingiustamente differenziati per determinate persone;
  • discorsi d’odio (3° livello): istigazione, promozione o incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione;
  • crimini d’odio (4° livello): atti di aggressione e violenza verbale o fisica nei confronti di una persona motivata dal pregiudizio su caratteristiche reali o presunte della vittima.

Quindi dalle idee (stereotipi) si passa agli atteggiamenti, quindi alla discriminazione, e da qui all’aggressione verbale e, potenzialmente fisica. Accanto a parole e linguaggi espliciti e violenti, l’odio molto spesso si nasconde e si manifesta con forme e lessico non sempre evidenti. Come avviene ad esempio con il body-shaming, per colpire una persona a livello fisico, per il suo aspetto, invece che rispetto alle proprie idee. Oppure ricorrendo a parole neutre, che se accostate l’una all’altra vogliono avere una valenza negativa, offensiva e stigmatizzante (es. “lobby gay”).

I destinatari di discorsi d’odio in rete sono le persone più vulnerabili sulla base delle origini, della religione, del genere e dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale, delle condizioni socioeconomiche, dell’aspetto. In particolare, le categorie bersaglio sono: migranti, rom, minoranze religiose, donne, persone LGBTI ma anche le persone e le associazioni che si occupano di solidarietà. Le persone o i gruppi di persone sono prese di mira dai messaggi d’odio in diverse situazioni: notizie di cronaca riportate dai mass media, campagne elettorali ed elezioni politiche, diffusione di fake news, situazioni di crisi e pandemia. L’Altro diventa oggetto da discriminare perché diverso da me e i social fungono da rapidi amplificatori e diffusori di tale diversità dalle caratteristiche negative.

Uno strumento di tutela, sicuramente più idoneo e immediato e che può limitare la diffusione dei contenuti d’odio, è la segnalazione che ciascun utente può trasmettere al social network di riferimento. Anche se è urgente una regolamentazione specifica del problema tra gli Stati.

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